«Quando finisce un amore, non soffriamo tanto del congedo dell’altro, quanto del fatto che, congedandosi da noi, l’altro ci comunica che non siamo un granché, che altri sono preferibili a noi.
In gioco non è tanto la "relazione", quanto la nostra "identità"; il nostro valore che la relazione confermava e il congedo disconferma.
In un certo senso l’amore è uno stato di passività (per questo si parla di passione), dove, per il tempo in cui siamo innamorati, non affermiamo la nostra identità, ma, comodamente, la riceviamo dal riconoscimento dell’altro. Quando l’altro se ne va restiamo senza identità, ci sentiamo nessuno.
Ma è nostra la colpa di esserci disimpegnati da noi stessi, di esserci abbandonati, di aver fatto dipendere la nostra identità dall’amore dell’altro.
E allora, dopo il congedo, il lavoro non è di cercare di recuperare la relazione dell’altro, ma di recuperare quel noi stessi che avevamo affidato all’altro, al suo amore, al suo riconoscimento, al suo apprezzamento. C'eravamo disimpegnati da noi, dimenticati di noi e il tradimento ci riporta bruscamente al compito di riprenderci tra le mani dopo il nostro abbandono.»
Umberto Galimberti
Nessun commento:
Posta un commento